29 Aprile 2015
TERRITORIO

Ci sono tante buone ragioni per dire no alla sottrazione di suolo agricolo per costruire nuovi insediamenti industriali di cui, oggettivamente non se ne sente il bisogno “a fronte dei numerosi capannoni dismessi o a cantieri da troppo tempo incompiuti e abbandonati che potrebbero essere riconvertiti. Prima di cementificare ulteriore suolo agricolo, bisogna pensare bene che quei fertili terreni, una volta aggrediti dalle ruspe, saranno perduti per sempre”.
Così il direttore della Coldiretti interprovinciale Gian Carlo Ramella ieri pomeriggio (28 aprile) al forum “Per fermare il declino di Novara – No al consumo del suolo” presso l’auditorium del Liceo Bellini, organizzato da associazioni ambientaliste e di consumatori, Fai, comitati spontanei e moderato da Sandro Devecchi, vicedirettore del Corriere di Novara.

“Oggi in Italia – rimarca Ramella - 5 milioni di cittadini vivono o lavorano in aree considerate ad alto rischio idrogeologico e 6.633 comuni hanno parte del territorio ad elevato rischio di frana o alluvione, anche per la mancanza di una adeguata pianificazione territoriale.
Su un territorio reso più fragile da consumo di suolo si abbattono i cambiamenti climatici con le precipitazioni sempre più intense e frequenti con vere e proprie bombe d’acqua che il terreno non riesce ad assorbire. Per proteggere il territorio ed i cittadini che vi vivono, l’Italia deve difendere il proprio patrimonio agricolo e la propria disponibilità di terra fertile con un adeguato riconoscimento dell’attività agricola che ha visto la chiusura in media di 60 aziende al giorno dall’inizio della crisi nel 2007. La chiusura di un’azienda agricola significa maggiori rischi sulla qualità degli alimenti che si portano a tavola e minor presidio del territorio, lasciato ad incuria e cementificazione”.

“Coldiretti, sin dal lancio del Patto con il Consumatore, si è subito occupata del tema relativo alla tutela di quei suoli rurali che generano i prodotti genuini e distintivi del made in Italy agroalimentare, sottolineando la necessità di preservarne l’indirizzo e la destinazione d’uso agricolo. Per questo, la nostra organizzazione ha subito condiviso la preoccupazione dei cittadini e dei comitati che, giustamente, si preoccupano di difendere i campi a coltivo che circondano la nostra città come un polmone verde: la creazione di nuove aree logistico-produttive avrà certamente un rilevante impatto ambientale ed una forte incidenza negativa sulla qualità della vita dei residenti: traffico pesante, inquinamento atmosferico, degrado, danni ambientali, danni alla salute, impoverimento economico e sociale, ecc.)”.

Altrettanto importante, la nota diffusa che evidenzia come i dati statistici recenti mostrano che nuovi posti di lavoro si creano innanzitutto in agricoltura, nella formazione, nella ricerca, nell’innovazione, nelle politiche ambientali, nei servizi, nel turismo, ma non nella logistica. E allora perché insistere sulla logistica? Tutti i cittadini novaresi sanno quali erano e quali sono le eccellenze novaresi: l’agricoltura (riso, mais, frumento, vite), l’industria agroalimentare (formaggi, vino), la ricerca chimica, le biotecnologie, la moda “made in Italy”, il turismo, l’industria meccanica, l’università.

Dal rapporto redatto dall’ISPRA per il 2014 il consumo di suolo in Italia si attesta intorno ai 70 ettari al giorno, ovvero 8 mq al secondo. In un battito di ciglia viene cementificata l’area di un orticello, nell’arco di una giornata scompare una campagna, ovvero l’area di un grande parco.
A livello nazionale, la perdita complessiva di suolo è passata dal 2,9% degli anni ’50 al 7,3% del 2012, con un incremento di più di 4 punti percentuali ed in termini assoluti, si stima che il consumo di suolo abbia intaccato ormai quasi 22.000 chilometri quadrati in Italia.

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